Con il titolo “AI: More than Human”, nell’evento sono stati raccolti i dati delle ricerche effettuate da importanti progetti da parte di MIT, IBM, Google e DeepMind. Lo scopo era quello di proporre un’anticipazione su quello che c’è in serbo per quanto riguarda l’IA, ma soprattutto per capirne le radici e l’evoluzione. Tra le idee centrali c’è sicuramente quella dello sviluppo della tecnologia, ma sempre con un desiderio di creare intelligenza e di dargli una forma fisica. Questo concetto risale a molti secoli fa e lo si può ritrovare anche in diverse culture. La mostra ha però sollevato delle domande ancora aperte. Scopriamo cosa ha in serbo per noi il futuro secondo gli addetti ai lavori.
1. Il punto non è se l’IA può essere creativa, ma quando questa creatività sarà sfruttata dall’industria
Come è stato ampiamente dimostrato, l’IA ha già delle potenzialità per la produzione di opere d’arte. Il Circuit Training di Mario Klingemann usa la rete neurale per creare forme d’arte a partire dalle foto dei visitatori. Queste immagini sono prese in una cabina e alterate. Le persone possono votare qual è la più interessante. Il computer, a sua volta, impara da queste interazioni e crea dei dipinti esteticamente accattivanti che si evolvono di continuo, usando le immagini e le preferenze dei visitatori come base per l’opera d’arte.
Creatività e IA possono essere pensate in due modi diversi. Da una parte ci sono gli artisti che la stanno utilizzando come strumento per creare le loro idee, come ad esempio Anna Ridler, Mario Klingemann, Sam Twidale e Marija Abramovic. Dall’altra parte, c’è l’idea che l’IA sia già creativa di per se o che ispiri creatività a sua volta.
Ad ogni modo, attualmente l’IA è utilizzata soprattutto come strumento nell’industria. Potrebbe non trovarsi nella posizione per competere con la creatività umana, ma certamente sarà sempre più coinvolta nelle campagne future.
2. Ci affidiamo ai dati, ma forse sono il nostro punto debole quando si parla di IA
L’IA funziona bene se sono buoni i dati che le forniamo. Dati parziali sfoceranno perciò a risultati parziali. Ciò ha portato a molte cantonate negli ultimi anni. Il più memorabile e disastroso probabilmente è Tay, il Twitter bot di Microsoft che iniziò a pubblicare una raffica di tweet razzisti.
Ad ogni modo, pare che anche i dati parziali possano in qualche modo funzionare. Infatti, secondo l’esperienza di Joy Buolamwini, quando era dottoranda in informatica, ha notato che i software di riconoscimento facciale non funzionavano bene come gli umani. Negli anni, ha scoperto che questo tipo di tecnologia è pesantemente prevenuto nei confronti degli uomini caucasici. Ha testato tre software in commercio ed ha scoperto che nel riconoscimento degli uomini bianchi era corretto al 99%, mentre la percentuale scendeva al 35% nel caso delle donne con la pelle più scura. Inoltre, gli stessi sfotware non risconoscono il genere delle donne nere più famose della Storia. Questo è dovuto al mancato allenamento di algoritmi con diversi set di dati.
Dato che il riconoscimento facciale è sempre più usato dalle istituzioni, sta diventando sempre più importante risolvere quegli errori e impegnarsi per avere data set più inclusivi.
Ma non è solamente il riconoscimento facciale ad essere creato con degli errori. Infatti, l’installazione Waterfall of Meaning di Google Pair mostra come i computer capiscono le associazioni umane. Fa vedere dove le parole si posano in una scala di umano/macchina, cattivo/buono, lei/lui. Provando che gli umani imperfetti creano macchine imperfette, il sistema è pervaso da falsi stereotipi.
In questo c’è una lezione di valore per quanto riguarda i venditori che vogliono sfruttare l’IA, non solamente in termini di diversità, ma soprattutto in termini di viabilità e affidabilità dei data set nella loro interezza.
3. La privacy è una preoccupazione molto reale in un mondo che funziona grazie all’IA
Non è sicuramente una sorpresa che i consumatori siano sempre più preoccupati riguardo all’utilizzo dei propri dati. Circa il 73% degli intervistati negli Stati Uniti afferma che questa preoccupazione è aumentata negli ultimi anni. Molte installazioni al Barbican hanno acceso un dibattito a riguardo. Ad esempio, Affectiva ha creato un sistema di IA che migliorare la sicurezza sulla strada tracciando le emozioni e le reazioni dei guidatori, rilevando la probabilità di ritrovarsi coinvolti in un incidente.
Evidentemente, ci sono un sacco di cose fantastiche che si potrebbero fare se rinunciassimo alla privacy, ma c’è la necessità di maggiori regole, di più trasparenza e più opinioni riguardo alla protezione della privacy. Con un aumento dei dispositivi dotati di fotocamera (come ad esempio, Echo Look di Amazon), c’è un bisogno reale di rassicurare i consumatori riguardo l’utilizzo dei loro dati.
Abbracciare il futuro
Un’installazione della mostra intitolata Kreyton City invita i visitatori a creare la propria città utilizzando pezzi di Lego e imparare allo stesso tempo come umani e IA potrebbero collaborare per prendere decisioni riguardo infrastrutture, architettura e urbanistica. Il processo è monitorato da telecamere e sensori. L’idea che sta dietro a questo progetto è che le soluzioni migliori e più efficaci consistono in una combinazione di dati, creatività e input prodotti sia da macchine che da umani. Lo stesso vale per l’utilizzo dell’IA nelle organizzazioni. Un equilibrio tra computer e persone è la chiave di volta. Per esempio, all’interno del servizio clienti, l’IA può portare il peso di molti compiti semplici e ripetitivi, mentre il tocco umano è richiesto per compiti più complessi.
Allo stesso modo, quando l’IA è utilizzata all’interno delle organizzazioni, deve essere monitorata e compresa da un umano. Anche dopo che l’algoritmo o l’IA sono stati costruiti, gli umani devono restare nei paraggi. Devono controllare ed evitare un problema da scatola nera dove non si capisce come si sta decidendo. Perciò, non bisogna avere paura dell’IA, ma piuttosto abbracciare il futuro collaborativo che ci aspetta.